Eleonora Di Marino: S.P.A. (Soluzioni Per l'Ambiente): Iglesias





Fanghi Rossi, 2,5 milioni di tonnellate di veleni alle porte di Iglesias, sono residui di lavorazione degli impianti di trattamento dei minerali, contengono quantità notevoli di sedimenti e di metalli pesanti come piombo, zinco, cadmio, mercurio, ferro, rame, manganese. Nonostante la loro pericolosità, grazie all'effetto cromatico e paesaggistico, fanno parte caratterizzante del territorio, dichiarati monumento naturale, patrimonio dell’umanità in quanto facenti parte del primo parco geominerario al mondo riconosciuto dall'UNESCO. Una contraddizione portata avanti da una politica per le bonifiche che cerca, senza ancora nessun risultato, di mettere in sicurezza questa montagna di veleni, puntando sul drenaggio delle acque e sull’intenzione di tenerli “in umido”, per evitare la dispersione delle polveri. Apparentemente semplice nell’operazione, è in realtà alquanto lenta e farraginosa nelle procedure. Nell’attesa che si mettano d’accordo, a chi e per chi debbano essere recuperate le risorse necessarie, le micidiali polveri si disperdono nell’aria, per paradosso sono meno pericolosi quando il colore rosso è più intenso, mentre se la tonalità diventa più chiara aumenta la volatilità delle polveri. Non è intenzione dell'operazione sindacare le varie soluzioni tecniche messe in campo, ma denunciarne il ritardo, l’incertezza, i convegni di studio che si trasformano in kermesse politiche, dove si recitano relazioni accattivanti, si paventano finanziamenti e promesse di posti di lavoro che puntualmente non arrivano, visto che la stessa IGEA (la Società che ha competenze sulle bonifiche) è sottoposta a minacce di tagli ed incerto destino.

S.P.A. (Soluzioni Per l’Ambiente), è un'iniziativa di autobonifica, svincolata dalle corrette procedure, consapevole della pericolosità dell’intervento (muovere i fanghi in questione mette in circolazione nell’aria particelle velenosissime), ma nel suo intento, artistico, di provocazione e di denuncia, assolutamente realizzabile se l’azione diventasse diffusa e partecipata. L’idea è quella di far mettere in circolazione dei piccoli contenitori di vetro (gli stessi utilizzati per le conserve), in numero necessario ai fini dello smantellamento, invitando le persone a riempirli (con le dovute precauzioni, mascherina, guanti ed evitando la vigilanza) con i Fanghi Rossi e “conservarli” in condizione ermetica e sicura, all’interno della propria abitazione. Chiunque invierà la fotografia della sua “conserva ambientale” riceverà un'etichetta, numerata, realizzata dall’artista Eleonora Di Marino, da apporre sul contenitore, trasformando l’oggetto e l’azione anche in un’opera d’arte. Magari qualcuno, chi di dovere innanzitutto, nel frattempo, anche per arginare questa sorta di furto collettivo, si attiverà per una soluzione istituzionale. 









Monteponi, Iglesias:

Miniera di Pb, Zn, Ag
Nell’area mineraria ricca di testimonianze di archeologia mineraria gli elementi caratterizzanti sono rappresentati dal palazzo della direzione di Bellavista, sede della Società di Monteponi, circondata da un ricco giardino, dalla laveria Mameli, dal pozzo Sella e dai condotti dei fumi dell’antica fonderia per il piombo. Il paesaggio minerario è caratterizzato dai grandi accumuli dei fanghi rossi e dal grande scavo ove operava il cantiere calaminare di Is Cungiuas.
Il centro minerario di Monteponi, famoso per la ricchezza dei suoi minerali, si apre sui caratteristici giacimenti colonnari dei calcari cambrici formati da gigantesche colonne isolate alte talvolta diverse centinaia di metri. Gli antichi riuscirono a coltivarli fino a 150 m di profondità; in tempi moderni le fasi di coltivazione subirono alterne vicende e sebbene non mancassero i tentativi di sfruttamento non si ebbero apprezzabili risultano fino 1850 quando venne accordata la concessione alla Società Anonima delle Miniere di Monteponi che avviò la coltivazione con tecniche moderne.
Nel 1866 vennero estratte complessivamente 9700 tonnellate di minerali galenosi-argentiferi con l’impiego di 100 minatori. In sotterraneo lo svilluppo della fitta rete di gallerie raggiungeva la lunghezza di 44 km. Nel 1880 iniziarono i lavori di scavo della lunghissima galleria di scolo Umberto necessaria per lo svuotamento della falda idrica che invasava gran parte del giacimento coltivabile. A quei tempi fu realizzata inoltre la grande fonderia per il piombo e l’argento e l’impianto di distillazione dello zinco.
Il complesso minerario di Monteponi comprendeva inoltre le vecchie concessioni minerarie di Lai e Palmari . In questi due siti minerari i lavori di coltivazione avvenivano in sotterraneo tramite gallerie collegate al pozzo Sella di Monteponi e servite dai rispettivi pozzi d’estrazione Lai e Palmari.


␣ Discariche Minerarie.............N°9 [Superficie occupata m2 260.761 - Volume m3 2.086.088]
␣ Scavi a cielo aperto.............N°4 [Superficie occupata m2 200.250 - Volume m3 13.016.250]
␣ Abbancamenti fini.............N°1 [Superficie occupata m2 234.865 - Volume m3 2.818.380]







Le miniere, inattive da circa vent’anni, e le industrie che ne hanno assorbito la forza lavoro, sono  causa di terribili devastazioni ambientali e, con la loro chiusura, anche della crisi stessa del territorio. I Fanghi Rossi, 2,5 milioni di tonnellate di veleni alle porte di Iglesias, sono il simbolo di quello che è rimasto in eredità alla salute della popolazione: è qui che l’azione dell’artista si concretizza nell'iniziativa di autobonifica S.P.A. (Soluzioni Per l’Ambiente), con il provocatorio tentativo di raccoglierli tutti attraverso piccoli contenitori di vetro e ad una serie di bastoni di legno che ne catturano una parte dopo essere stati immersi nel terreno.
 Per numerose civiltà, tra cui quella sarda nuragica, il Bétile è una pietra lunga conficcata nel terreno: essa rappresenta generalmente il dio-maschio nella parte emersa, e della fertilità in quella interrata, Eleonora non utilizza però la pietra, ma un semplice bastone cilindrico di legno, simbolo di una natura pura, dove la tecnologia sa dare forma ma senza mutare la sostanza della materia: un oggetto semplice e pulito, ma che, al contatto con una terra assassinata dall’uomo, ruba ad essa una parte dei velenosi fanghi, svelandone la pericolosa essenza, intorno alla parte che dalla madre terra viene portata al cielo, quasi potesse lui purificarla. Non è certo dal cielo che Eleonora si aspetta questa purificazione, ma dalle bonifiche progettate dall’uomo e boicottate dalla politica e dalla follia collettiva di un territorio, che da una parte chiede un riscatto ambientale, dall’altra si affida ancora ad un’economia che produrrà ancora fanghi velenosi e posti di lavoro destinati a perdersi altrove, delocalizzati, prima o poi, in altrettanti luoghi del pianeta dove la sopravvivenza quotidiana non può misurarsi con un progetto di vita più ampio e sostenibile.




 
*I fanghi rossi alla Maison Rouge di Parigi (Le Associazioni Libere A project by the Dena Foundation for Contemporary Art
 | Curators Chiara Parisi and Nicola Setari | Artistic coordination Francesca di Nardo 
Exhibition design Christian Frosi and Diego Perrone)


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Una montagna di veleni per lo sviluppo del Sulcis

Duemila anni di storia mineraria, di cui gli ultimi duecento devastanti, di sfruttamento selvaggio da parte di società non appartenenti al territorio. [Eleonora Di Marino]
lunedì 11 febbraio 2013 09:31 http://cagliari.globalist.it/Detail_News_Display?ID=50960&typeb=0  





Duemila anni di storia mineraria, di cui gli ultimi duecento devastanti, di sfruttamento selvaggio da parte di società non appartenenti al territorio, che alla loro chiusura hanno lasciato centinaia di milioni di tonnellate di fanghi velenosi, garantiscono non uno ma circa 113 siti minerari dimessi con annesse discariche per tutti i gusti.

Distese di veleni, allora entrate prepotentemente nei nostri paesaggi, oggi penetrate allo stesso modo nella nostra identità: d'esempio sono i Fanghi Rossi, alle porte di Iglesias, 2,5 milioni di tonnellate per 16 ettari, montagne di polveri fini con piombo, cadmio, mercurio che, nei periodi più secchi dell'anno, con l'alzarsi del vento, vengono disperse nell'aria raggiungendo presto non solo i veicoli che viaggiano sulla strada a cui si affacciano, ma anche le case, ed i polmoni, degli abitanti dei comuni circostanti (http://www.youtube.com/watch?v=HflJuuBBUpY). Durante la stagione delle piogge, inoltre, penetrano nelle falde acquifere, scivolano verso la valle sottostante, quella del Rio San Giorgio, anch'esso già compromesso di suo, in cui alcuni pastori usano portare al pascolo gli animali.

La situazione da drammatica diventa addirittura paradossale, se si pensa che sui Fanghi pende un inviolabile vincolo della Soprintendenza ai Beni Culturali e Tutela del Paesaggio di Cagliari, per cui essi devono essere salvaguardati e non eliminati. Da discarica a sito da difendere, parte di quel patrimonio culturale ed identitario che è la miniera.

Numerosi progetti sono stati vagliati negli anni dall'IGEA, che però attende l'avvio del Piano delle bonifiche del Rio San Giorgio. Scartato un costosissimo progetto per colare annualmente sopra i Fanghi una speciale vernice che ne evita la dispersione, si opterà per un impianto che non solo raccolga le acque che con le piogge finiscono a valle per poi trattarle e ripulirle, ma che, recuperando l'acqua della miniera, attraverso uno strumento di misurazione dell'umidità ed un semplicissimo sistema d'irrigazione, andrà a renderli umidi ogni qual volta lo stato di secchezza dei fanghi raggiungerà il livello critico. Speriamo che tutto questo non finisca come la vicenda del Rio Irvi/Rio Rosso, in cui l'impianto, pagato e messo a punto, si è rivelato fallimentare, lasciando i veleni della miniera raggiungere senza ostacoli la bellissima ma non incontaminata spiaggia di Piscinas.

A proposito di episodi come questo, la Consulta delle associazioni per il Parco Geominerario ha recentemente presentato un esposto in cui si chiede conto all'IGEA delle "ingenti risorse pubbliche, quasi 250 milioni di euro, messi a disposizione dal 1988 proprio per rendere nuovamente fruibili quei terreni attraverso la messa in sicurezza e la bonifica delle stesse aree", con la richiesta di indagine sull'adeguatezza degli interventi effettuati, se appropriati o no per raggiungere la loro finalità.

Anche da una semplice escursione (la Consulta accusa IGEA di aver negato proprio ad un gruppo di escursionisti di transitare lungo il cammino minerario a Monteponi, costringendoli ad attraversare, a piedi, la SS 126), sfidando i divieti - e a volte anche l'arroganza - messi in campo dall'IGEA, è palese che molte delle bonifiche non sono state fatte, o sono state fatte male (in compenso però sono state realizzate migliaia di recinzioni).

Il Sulcis Iglesiente è oggi scenario di un disastro politico ed ambientale, con relative ricadute sulla salute delle persone, del territorio e dell'economia: il tutto con il silenzio responsabile della politica, occupata nello spartirsi i pacchetti di voti legati alle promesse d'assunzione, ed ora che sono in arrivo i finanziamenti del Piano Sulcis, possiamo esser certi che Parco, IGEA, politica e sindacato troveranno un "accordo".

Ma il territorio più povero ed inquinato d'Italia sembra ancora disposto a chiudere un occhio, anzi tutti e due, se è vero che le bonifiche, con 600 milioni di euro già spesi negli ultimi 11 anni tra Ati Infras ed IGEA, danno un'occupazione pari a centinaia di posti di lavoro (più dell'Alcoa), e che messe a regime potrebbero garantirne migliaia, oltre l'indotto delle riconversioni, magari culturali e turistiche, arrivando così ad un vero rilancio del Sulcis.

A ben fare i conti, comunque, considerando il Piano Sulcis, per le bonifiche sono stati deliberati solo una piccola parte della montagna di finanziamenti destinati invece alla costruzione dell'arma di sterminio di massa messa a punto con lo stoccaggio della CO2 nel sottosuolo, per la sopravvivenza del potere clientelare della Carbosulcis, e quella per la promozione turistica delle coste e della pesca al piombo, mercurio e cadmio, rappresentata dalla riesumazione dell'Eurallumina e del suo bacino di fanghi rossi, non più a forma di montagna ma di mare.

Un mare di fanghi, di veleni, che saremo costretti a tenere nel territorio, come se quelli che ormai abbiamo non servissero già da ammonimento. Un mare e delle montagne che non vogliamo, anche se sono rossi, come la speranza di chi ha lottato per un posto di lavoro ed invece lo ha garantito solo a chi ha ucciso un territorio ed oggi si appresta a divorare quello che resta.





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Campo Pisano, Iglesias:

Miniera di Pb e Zn
Attualmente l’area mineraria è caratterizzata dalla presenza di due estesi bacini di decantazione (Campo Pisano e S.Giorgio), delle strutture del pozzo d’estrazione e dell’impianto di trattamento del minerale.
Le prime notizie storiche sulla miniera risalgono al 1876 anno in cui si ottenne la dichiarazione di scoperta del giacimento piombo-zincifero. La miniera fu accordata alla Società di Monteponi per una superficie complessiva di 197 ettari. Campo Pisano ha rappresentato un importante centro minerario: fino agli anni 70’ occupava oltre 700 minatori e giunse a produrre fino a 1000 tonnellate di tout-venant al mese. 


␣ Discariche Minerarie.......N°6 [Superficie occupata m2 99.967 - Volume m3 699.769]
␣ Bacini fanghi...........N°2 [Superficie occupata m2 644.650 - Volume m3 7.735.800]
␣ Abbancamenti fini.......N°1 [Superficie occupata m2 10.690 - Volume m3 42.760]








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