I lavoratori ex Rockwool hanno murato viva la dignità del lavoro e del territorio (La vera storia)




I lavoratori ex Rockwool hanno murato viva
la dignità del lavoro e del territorio!

Per anni avevano rivendicato non solo un posto di lavoro, ma la rinascita di un intero territorio attraverso il rilancio delle bonifiche: MENTIVANO?  Il loro obiettivo era diventato solo l'entrare dentro i due carrozzoni pubblici locali: IGEA e Carbosulcis (quest'ultima una vera bomba ecologica).
Al cambio di rotta della Regione ed alla notizia  dei 54 posti di lavoro a tempo indeterminato presso la Ati Infras si sono murati all'ingresso della Galleria Villamarina,  cercando prima di far cambiare idea all'assessore, salvo poi cambiare linea cercando di salvare anche un futuro accesso  all'Igea Spa. Nonostante la certezza dell'assunzione hanno mantenuto in piedi il muro,  cavalcando l'attenzione mediatica, tutta tesa a raccontarli "murati vivi" (?) in una miniera (?)

 La Ati Infras è una società privata che a partire dai primi anni 2000 ha dato avvio a un piano per la stabilizzazione di lavoratori socialmente utili (LSU) attraverso una società consortile e un'associazione temporanea d'imprese della quale Ifras è mandataria.Nel 2001 l’ATI ha costituito una società operativa, la GEOPARCO S.c.a.r.l., che il 21 dicembre dello stesso anno ha sottoscritto una convenzione con la Regione Autonoma della Sardegna per l’affidamento di servizi ed attività necessari per la predisposizione e realizzazione di un piano pluriennale, finalizzato alla stabilizzazione occupazionale di soggetti impegnati in attività socialmente utili, individuati dal progetto interministeriale interregionale denominato Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna.


Dal 2002 fino a oggi Geoparco, in attuazione della convenzione, ha stabilizzato circa 500 persone (per la maggior parte LSU), impegnandosi a provvedere alla loro riqualificazione professionale e a curare il loro reinserimento lavorativo in quanto appartenenti a categorie svantaggiate con oggettive difficoltà a reinserirsi in modo durevole nel mondo del lavoro. Tutti i lavoratori stabilizzati sono stati impiegati nelle attività oggetto della convenzione:Bonifica e ripristino di siti inquinati;Ripristino ambientale e recupero dei compendi immobiliari ex minerari;Recupero e valorizzazione dei beni culturali (impianti e strutture di archeologia industriale, archivi, siti e reperti archeologici);Gestione di attività turistiche e agricole.Queste attività assolvono in buona parte alle finalità di salvaguardia e valorizzazione delle radici culturali, storiche e naturalistiche di ciascun comune del Parco, che si caratterizza non solo per la presenza dei siti geominerari, ma anche per un passato storico e per valenze ambientali di altissimo profilo.Tutti gli interventi e le scelte progettuali sono il frutto di una programmazione dal basso; l’ATI Ifras, infatti, opera su iniziativa e richiesta degli enti locali. Gli interventi programmati possono fruire dei finanziamenti previsti per il Parco e di quelli che gli enti locali vogliono ad essi destinare mediante l’assunzione di un impegno formale che si concretizza nella firma di un accordo di programma sottoscritto insieme alla Regione e all’ATI Ifras; l’accordo di programma quadro è stato elaborato dalla Regione Autonoma della Sardegna e approvato dalla Giunta Regionale.

Vergogna! Altro che eroi questi uomini sono il simbolo della mancanza di rispetto per il lavoro e per il territorio:  "i non buoni posti (54) di lavoro a tempo indeterminato" disponibili alla Ati Ifras, al permanere del muro, dovevano essere dati ad altri lavoratori di buona volontà... Dal momento che alcuni questi cassaintegrati ad oltranza hanno ben altre necessità, come quella di rendersi visibili mediaticamente e politicamente, recitando  nella disperazione più subdola, per nutrire il potere dei soliti sindacati, l'ipocrisia di certi politici ed incerta popolazione.




Natale sottoterra... murati vivi,  solo due piccoli fori per far passare il cibo, giorni e giorni mangiando solo scatolettequeste ed altre  notizie  popolano la rete... giocando su piccoli equivoci simulano scenari catastrofici. Inutile sottolineare che non si trovano sottoterra, ma al pianoterra  all'ingresso di una galleria, non sotto nella miniera, che il muro non ricopre tutta la cancellata ma solo una parte, facendo passare la luce e semmai tenendoli più riparati dalle correnti, altrettanto inutile parlare del gazebo e dell'assistenza nel piazzale antistante... Inutile, così come lo è stato tempo fa quando denunciamo il fatto che nel presidio sul ponte non hanno mai passato una sola notte. Altrettanto inutile fu denunciare la loro disonestà intellettuale nei nostri confronti e verso le azioni di rinascita del territorio, aprendo le porte ai peggiori sciacalli del sottobosco artistico e culturale. Inutile... come forse è inutile ora denunciare il loro tentativo di cavalcare la scena mediatica nonostante l'importante offerta  della Regione.


Noi pensiamo ai circa 3800 lavoratori che, nel Sulcis,  hanno perso il lavoro, privi di ammortizzatori sociali e di voce in capitolo, in una scena sempre occupata (da più di vent'anni) dai soliti  lavoratori, sindacalisti e politici. Inutile?
Il tentativo di  far naufragare la proposta della Regione è stato palese, mettendo addirittura, la condizione che essa ammettesse che la non assunzione all'Igea era dovuta a scelte clientelari La nostra posizione è tutta nella speranza che siano costretti, almeno per salvare la faccia, ad accettare la proposta della Regione e che i lavoratori ex Rockwool ( ad alcuni avevano persino detto che si trattava di posti a tre mesi)  non paghino il protagonismo mediatico dei  loro stessi leader.


 Un tradimento, il loro, della dignità e dell'onestà della lotta... e noi qui ancora a cercare di dimostrare che il nostro territorio ed i lavoratori non  devono più sottostare al ricatto di certi personaggi in cerca di visibilità e di assistenza statale, politica e sindacale perpetua. La loro menzogna inizia quando, indossando elmetti e simboli del sindacato, parlano male dei sindacati e della politica, anche se alcuni di loro sono stati candidati e persino assessori. La loro menzogna continua anche quando si ergono a difensori di tutti i lavoratori, per avendo cancellato ed allontanato i lavoratori dell'indotto Rockwool.

Naturalmente, come hanno fatto sui loro colleghi dell'indotto, anche su di noi hanno rovesciato fango e menzogne:
...eppure per anni abbiamo rivendicato insieme non solo un posto di lavoro, ma la rinascita di un intero territorio attraverso il rilancio delle bonifiche: mentivano e continuano a mentire! 

Ci accusano di esserci avvicinati per motivi di visibilità e pubblicità
MA LA VERITà è UN'ALTRA:

furono loro a chiamarci perchè nessuno dava loro retta, lasciandoli soli persino nelle manifestazioni. 
Noi della GFG eravamo reduci dalle azioni nel territorio durante le elezioni amministrative del 2010. Alcuni di noi avevano denunciato il voto di scambio, in particolare un candidato che distribuiva pacchi di pasta durante la campagna elettorale. 






I lavoratori venivano sistematicamente ignorati o peggio messi ai margini della comunicazione mediatica, quindi decidemmo di girare alcune performance artistiche verso la loro causa:

Fotogallery ARCHIVIO
L'UNIONE SARDA.it > Fotogallery > Rockwool: Gli operai protestano con una performance artistica Mercoledì 04 agosto 2010

Rockwool: Gli operai protestano con una performance artistica
http://www.unionesarda.it/Articoli/FotoGalleryDettaglio.aspx?pos=1&id=190532#galleryI lavoratori Rockwool impegnati nella performance artistica di Emanuela MurtasI lavoratori in lotta della Rockwool diventano anche protagonisti di una performance artistica. Martedì mattina la seconda puntata della rappresentazione promossa da due artiste iglesienti, Eleonora Di Marino ed Emanuela Murtas, dell'associazione no profit Giuseppe Frau Gallery di Iglesias. Iniziativa lanciata per rimarcare la necessità di difendere il diritto al lavoro in un territorio in crisi.La performance “Lavoratori Rockwool in equilibrio precario" ha preso il via alle 9,30 nel piazzale antistante la miniera di Campo Pisano, a Iglesias, presidiato da mesi dai lavoratori. E sono stati proprio loro a camminare lungo il filo della precarietà, in questo caso rappresentato da alcuni listelli di legno sistemati sull'asfalto a unire simbolicamente il Ponte per il lavoro. Un gesto artistico che ha voluto riportare, fanno sapere i promotori con una nota, l'attenzione sul problema del lavoro e sulla stabilità e sicurezza che dovrebbe offrire ed essere propedeutico per far diventare nell'arco di dieci anni “Iglesias capitale della cultura”.I cassintegrati Rockwool hanno approvato un documento in cui rimarcano che la protesta proseguirà a oltranza. I lavoratori, anche dopo il vertice che si è tenuto lunedì nella sede dell'assessorato regionale all'Industria ribadiscono la necessità di procedere con la stabilizzazione e annunciano nuove iniziative che prevedono il coinvolgimento dei dipendenti delle altre aziende in crisi di tutto il territorio. Nei prossimi giorni sarà convocato un vertice con le organizzazioni sindacali provinciali e regionali per affrontare l'emergenza occupazione e soprattutto le vertenze ancora aperte del Sulcis Iglesiente e formare un fronte comune.
















Il legame, fortissimo è sottolineato anche da articoli e tenuto a battesimo del battesimo con l'isola dei Cassaintegrati, di cui gli artisti della GFG trasmettono anche alcuni diari:
http://www.isoladeicassintegrati.com/2010/09/27/un-vulcano-spento-il-caso-rockwool/

Un vulcano spento…il caso Rockwool!

Da oggi entra anche la Rockwool, tra i casi seguiti in questo blog, esterni alla protesta della Vinyls di Porto Torres. Un modo di più, un luogo in più – anche se virtuale – per unificare le lotte. I lavoratori della Rockwool meritano ampiamente di essere seguiti, poche lotte sono forti come la loro attualmente. Prima l’occupazione di un ponte, noto come “un ponte per il lavoro“, poi una serie di eventi creati con la collaborazione della cricca di artisti della Giuseppe Frau Gallery, che hanno portato alla nascita del festival di musica ROCKwool. Ecco il pezzo, di Claudia Sarritzu
Ve lo immaginate un vulcano in Sardegna? Ecco la Rockwool era come un vulcano artificiale nella località di Sa Stoia a Iglesias. Sì proprio lì, dove ci sono le miniere, ormai musei naturali per turisti più originali di altri, che mollano costumi e ombrelloni per conoscere un’altra Sardegna.
Si produceva lana di roccia, un silicato risultante dalla fusione della stessa a 1500° C, un materiale usato spesso nell’edilizia. E il processo chimico fisico è proprio quello che avviene in un vulcano. Qualcuno obietterà con slogan ecologisti della serie “Troppo inquinamento, meglio chiudere un impresa come questa e impiegare quella forza lavoro in industrie che non devastino ulteriormente la nostra terra”. Sono belle frasi che mettono d’accordo tutti. Ci sono politici che ci costruiscono un’intera carriera attorno a questi banali enunciati. Si parla sempre di riconversione, di smantellare il vecchio modo di fare industria per crearne uno pulito. Sono bravi tutti a parlare di sogni, perché sono belli e vanno coltivati e ci vogliono uomini e donne eccezionali che li facciano diventare realtà. Aspettando questi miracoli “puliti” la Sardegna rivuole i suoi operai a lavoro, perché per mangiare non bastano le belle parole, né i sussidi.
Parliamo di lana di roccia e di come si produce perché quando si parla di vertenze, bisognerebbe conoscere, non solo le motivazioni della crisi, le proteste degli operai, le famiglie travolte dal lutto di perdere il lavoro, ma anche il bene che verrà a mancare. Perché il mondo della produzione è collegato al suo territorio. Fallita una realtà, rischiano di morire anche le altre a catena. Se pensiamo all’indotto coinvolto, a soffrire dello smantellamento della Rockwool più di un anno e mezzo fa, sono i trasporti. Più di quaranta articolazioni. Erano infatti migliaia all’anno i camion che trasportavano lana di roccia, tantissime le dite d’appalto. E il mattone, qui, è l’unico vero sbocco lavorativo. Come direbbero gli economisti, la Rockwool è un’azienda che dà vita a un bene intermedio cioè parzialmente finito. In tre parole a un“input per altre imprese”. Si produce tutto ciò che rende un’abitazione ovattata, protetta dai così detti fastidi, troppo caldo, troppo freddo, troppo rumore. Ma i dipendenti della Rockwoll questo isolamento, questo silenzio intorno a loro, non lo vogliono.
La vertenza inizia a gennaio 2009. Quando l’azienda avvisa i dipendenti che l’impianto è in crisi. Nessuno di loro però immagina che nel giro di pochi mesi si sarebbe smantellato tutto. Si alternano periodi di Cig a periodi di produzione. La crisi sembra toccare solo lo stabilimento italiano di Sa Stoia. In Spagna, Francia e Germania non si parla di delocalizzare gli impianti. 
La situazione diventa irreversibile in primavera, esattamente venerdì 17 aprile 2009 ( data infausta ), arriva la dichiarazione ufficiale che entro 70 giorni tutto l’impianto verrà smantellato. A maggio il governo sardo non si spiega ancora quali siano in motivi reali per cui la società danese decide di chiudere l’impianto, vengono elencati motivi generici come costi eccessivi di lavoro, energia, trasporti e così via. “E infatti i motivi non esistono. L’azienda non ha mai chiesto nulla al governo perché non aveva interesse a restare. Il suo scopo era andarsene da Iglesias” lo afferma Roberto Puddu segretario della Cgil Camera del Lavoro del Sulcis iglesiente. Il primo maggio del 2009 i lavoratori dell’Eurallumina, Alcoa e Portovesme Srl solidarizzano con i loro colleghi della Rockwool e decidono di trascorrere con loro, nel presidio, la giornata. Ad agosto il Sulcis vede chiudere Eurallumina, Otefal e Rockwool. La Portvesme srl è chiusa per due terzi e Alcoa resta in bilico in attesa di tariffe speciali. Durante l’estate scorsa il territorio sembra implodere. E l’azienda con meno speranze appare subito la Rockwool.
“Siamo disponibili a verificare la possibilità di incentivi per un investimento nel settore della lana di roccia, ovviamente in presenza di imprenditori seri”. Lo affermava l’assessore alla Programmazione, Giorgio La Spisa, il 28 Ottobre 2009. Continuava sostenendo che “La Regione ha messo a disposizione tutti gli strumenti a sua disposizione e siamo sorpresi che l’azienda abbia parlato ai lavoratori di inesistenti inadempienze da parte nostra. La volontà dell’azienda appare chiara e se si dovesse arrivare alla chiusura la responsabilità sarebbe esclusivamente dell’attuale proprietà”. Salvatore Corriga, uno dei portavoce della protesta, non fa che ricordare che “Quando l’azienda ha deciso di smantellare l’impianto, è stata una sorpresa per tutti, perché non era un settore in sofferenza. Era l’unica dita che produceva lana di roccia in Italia. Ti aspetti che lo Stato non permetta la fuga di una realtà così importante all’estero, in India o in Croazia, ma lotti per farla restare nel territorio nazionale.” E in effetti la Rockwool produceva fino a due anni fa, 36.000 tonnellate di lana di roccia. Ma mentre i macchinari marciavano a pieno regime, nei piani alti, sei mesi dopo, diranno che vagliate tutte le soluzioni possibili, si sono decisi a prendere quella più difficile ma l’unica possibile. Imponendo così lo stop affermando che la situazione economica era insostenibile e che era minata fortemente la competitività dell’impianto. E qui dovrebbe chiudersi il sipario sulla rockwool.
Ma questa è la Sardegna che deve andare orgogliosa dei suoi lavoratori: loro non si arrendono e la lotta va avanti. Una lotta che li porterà ad occupare un ponte, noto come “un ponte per il lavoro“, e ad associarsi alla cricca di artisti della Giuseppe Frau Gallery nella creazione di eventi e di un concerto a tappe che continua ancora oggi. Il ROCKwool…
LEGGI QUI IL SEGUITO DELL\’ARTICOLO SULLA ROCKWOOL!



 















Fino al momento che alcuni di loro aprirono le porte ai peggiori sciacalli dell'arte e della cultura, tradendo il patto (nostro e tacito) di  lavoratori al servizio della rinascita del territorio. Da questo momento il termine Bonifiche diventa una parola vuota e la dignità culturale, che ha portato il fare lotta di questi lavoratori su di un gradino diverso dai gesti plateali votati al sacrificio, vengono riportati al tradizionale "facciamofesta al presidio dei poveri lavoratori". 
Sempre più partecipi a manifestazioni tipo feste di partito, matrimoni in vetrina, e quant'altro l'immagine trash e scontata potesse offrire: la fine di quell'anno li trovò infine costretti ad occupare la galleria Villamarina, ottenendo giusto qualcosa in quel modo...
Del resto mai nessuno di loro aveva mai dormito nel presidio sul ponte e la loro stessa presenza era garantita soprattutto, per non dire esclusivamente, nei momenti di appuntamenti mediatici e culinari.
"Ore 12.00 Cominceremo con il rinnovare il bus, vogliamo dare un segnale forte: per testimoniare il nostro vivere e lottare, per lottare e per vivere. Un restyling non solo esteriore… il cielo ci ha dato un segnale, regalandoci dei giorni di pioggia per mettere alla prova la nostra pazienza, la nostra determinazione ad avviare da subito i lavori. Oramai siamo capaci di pensare ed agire in grande: apriremo il primo museo di arte contemporanea dell’Iglesiente, trasformando l’autobus nel “Rockbus Museum”! Con il contributo degli amici Artisti di questo territorio che sono diventati parte integrante della vertenza, inviteremo artisti di fama regionale, nazionale ed internazionale, ad intervenire attivamente nella realizzazione di questo sogno. Un’azione concreta, per dimostrare al territorio come la nostra lotta non è solo frutto della disperazione e della crisi economica, ma anche dell’incapacità di progettare nuove prospettive economiche e sociali. Questa è solo la prima delle azioni culturali che ci vedranno portare, anche attraverso altre iniziative “top secret”, il nostro entusiasmo e la nostra determinazione in tour nei luoghi di LOTTA di tutta la Sardegna."
Il RockBus Museum (public & social art) è nato da un idea di Pino Giampà ed Eleonora Di Marino  che, con il collettivo degli artisti della GiuseppeFrau Gallery, hanno trasformato il pullman che era la  sede del presidio dei cassaintegrati ex Rockwool  ad Iglesias.
 Il Rockbus Museum era stato ideato, oltre per sostenere la vertenza dei lavoratori,  come spazio per richiamare artisti internazionali a progettare e sperimentare nuovi confini per l'arte pubblica e sociale nel territorio,  nel tentativo  di fare da avanguardia verso un Distretto Culturale Sostenibile e di promuovere il territorio del  Sulcis-Iglesiente in ambito internazionale.

 Partito con una programmazione aperta anche ad artisti  provenienti dall'underground locale e partenopeo, questi ultimi hanno poi di fatto minato la mission  iniziale,  impedendo che i lavoratori continuassero, con i giovani artisti del collettivo GFG,  l'opera di apertura del territorio verso  il "sistema dell'arte internazionale".  Con una campagna diffamatoria, che ha  anche tentato di far passare lo spazio autogestito della GFg come una sorta di  galleria privata inserita nei più contorti meccanismi delle grandi multinazionali dell'arte contemporanea, hanno  sciacallato sull'idea, sulla disperazione  e sull'ingenuità (dal punto di vista delle dinamiche artistiche) del lavoratori,  devastando il pullman con ogni sorta di opera e d'artista.

Oggi avremmo voluto almeno  definirlo  come uno spazio  autogestito dai lavoratori (anche se rifondato sull'onda del tradimento e su un mare di bugie) per mostre ed incontri spontanei a sostegno della vertenza, ma  purtroppo rimane ancora  solo come  una tragica testimonianza, rivelatrice dei meccanismi contorti, del tradimento e dello sciacallaggio artistico e culturale, operato da chi, essendo costantemente escluso per  il  basso livello del profilo e dell'opera, finisce per operare azioni che mirano a distruggere e denigrare qualsiasi realtà che  abbia una certa visibilità e consenso nel mondo dell'arte e della cultura.
Oggi  i lavoratori ex-Rockwool hanno completamente perso il ruolo, e l'occasione, di essere  testimoni privilegiati verso le istanze di un'apertura del territorio alle migliori dinamiche internazionali dell'arte contemporanea, anzi  partecipando solo alle peggiori manifestazioni del sottobosco artistico, hanno finito per sostenere, ingenuamente, chi opera (in perfetta malafede) per impedire la crescita di un alto profilo artistico e culturale nel territorio più povero d'Italia.




Ed ora ad un anno di distanza non si smentiscono...
Per fortuna noi ci troviamo sempre attenti e presenti a dare un'informazione 
Controcorrente e contropelo

Noi siamo sempre stati dalla parte dei lavoratori e del territorio e sempre contro le ipocrisie e le mezze verità!Nella foto l'ingresso della Galleria Villamarina, Monteponi, ad Iglesias, ritratto dal punto di vista dell'IGEA, in contrasto con i tagli forti e bui che ci danno nella cronaca della lotta dei lavoratori ex Rockwool. Alcuni di questi lavoratori hanno alzato un muro che ricopre una parte del cancello (non tutto) alla notizia del cambio di rotta da parte della Regione, che aveva siglato, un anno fa, un protocollo che avrebbe dovuto collocare in società partecipate pubbliche i 54 lavoratori ex Rockwool. All'ingresso nelle due partecipate IGEA e Carbosulcis, impedito dalle nuove norme della spending review e da altre che relegano l'ingresso a procedure concorsuali, la Regione ha proposto come alternativa un'assunzione di lavoro a tempo indeterminato presso la Ati Ifras, una società privata che a partire dai primi anni 2000 IFRAS ha dato avvio a un piano per la stabilizzazione di lavoratori socialmente utili ben 500 LSU) attraverso una società consortile e un'associazione temporanea d'imprese della quale Ifras è mandataria. Nell'altra il rio Piscinas che, dal rio Irvi, porta in una delle più belle spiagge della Sardegna alcuni dei veleni più pericolosi e letali, per l'uomo e per l'ambiente. Questa situazione è provocata in parte dall'eredità della miniera di Cassargia, dall'altra da una finta bonifica che ha portato nelle tasche dei soliti noti ben due milioni di euro. Naturalmente anche a questo ennesimo tentativo di fare chiarezza superando, gli interessi dei singoli, le ipocrisie dei mediocri e gli interessi di sindacati e politici sinistri, riceviamo e rispediamo al mittente i soliti insulti provinciali, frustrati e mafiosi
25 milioni di euro...tre l'anno...55555 a posto.. per i 54 lavoratori ex Rockwool... e questi mantengono in piedi il muro, utile più per passaggi televisivi che per tenere alta la dignità di un territorio, mancando anche di rispetto alle migliaia, circa 3800, di lavoratori che nel Sulcis hanno perso il lavoro ma non godono di nessun tipo di ammortizzatore sociale.
Alessandra Zedda, assessore regionale all'Industria, dice che di più non si poteva. Anzi: la proposta di ricollocare i 54 lavoratori ex Rockwool all'Ati Ifras è molto meglio della previsione iniziale di impiegarne 12 all'Igea. Alessandra Zedda, assessore regionale all'Industria, è nell'occhio del ciclone per una serie di vertenze che interessano i lavoratori sardi, ma quella dei lavoratori barricati nella galleria Villamarina dal 12 novembre scorso e murati nella stessa dall'alba di venerdì in questo momento la impensierisce un po' di più delle altre. E, a tratti, la fa persino infuriare. «Io ho fatto il mio dovere in tutto e per tutto, e siamo andati ben oltre le aspettative del momento. Si sono mossi Giunta e Consiglio regionale, riuscendo ad approvare una legge che stanzia per l'Ati Ifras 25 milioni di euro. Per i lavoratori ex Rockwool ne servono 3 all'anno». Alla domanda sul perché i fondi non siano invece andati a una consociata regionale, risponde: «Ci saremmo attirati dietro le contestazioni dell'Unione europea».IPOTESI IGEA Poi, sul mancato inserimento delle maestranze all'Igea, dice: «Ce lo impedisce la spending review ma se ci fossero le condizioni per bandire nuovi concorsi sarà garantito un occhio di riguardo per quei lavoratori. Delle limitazioni sappiamo da ottobre e da quel momento la Giunta ha incominciato ad approfondire la strada per ricollocarli in società private, come del resto prevede lo stesso accordo approvato il 22 dicembre 2011».L'ACCORDO DEL 2011 Il documento, in effetti, parla anche di privati, ma è un'opzione che fa seguito al punto relativo alla stabilizzazione nelle società in house o partecipate. E proprio quella parte, anche un anno fa, aveva lasciato molti lavoratori insoddisfatti di fronte al documento sottoscritto dalle organizzazioni sindacali. Ora è evidente che la Regione si fa forte di quel passaggio ma Alessandra Zedda ribadisce che «con Ati Ifras si offre un lavoro a tempo indeterminato per tutti e non un contratto per due anni come sarebbe stato nel caso dell'Igea per solo 12 di loro».FATTORE TEMPO E i 12 mesi trascorsi dalla stipula dell'accordo che prevedeva l'avvio dell'iter per la ricollocazione già dal gennaio scorso, quando la spending review non esisteva? «L'iter - risponde l'assessore - parte compatibilmente con il volere e gli indirizzi della Regione che non deve mai rinunciare a seguire percorsi di legalità».LA REAZIONE DEI LAVORATORI è stata di assoluto rigetto:a) "Ribadiamo con forza che il punto di partenza da cui iniziare un discorso costruttivo per trovare una soluzione alla nostra vertenza deve essere l'accordo del 22 dicembre 2011 – ha detto Ignazio Pani, della rockwoolRsu Cisl – che prevede il nostro reinserimento in una delle società in house della Regione che si occupano di bonifiche. Abbiamo fatto un corso della durata di un anno per specializzarci in questo tipo di lavoro ed è ciò che vogliamo fare. Siamo stati anche presi in giro quando 12 di noi sono stati selezionati per entrare in Igea e anche di questo non se ne sa più niente. La politica deve fare la sua parte".b)Nel presidio di Monteponi si respira un clima di attesa, nella speranza che arrivi la notizia della fissazione di un incontro in cui discutere quell’accordo firmato il 22 dicembre del 2011 che la Regione, secondo l’accusa di lavoratori e sindacalisti, ha completamente disatteso.L’impegno sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e dalla giunta regionale era per la ricollocazione dei lavoratori ex Rockwool nelle società pubbliche come Igea e Carbosulcis. La Regione ha proposto loro, invece, un contratto a tempo indeterminato nella Società Ati Ifras.«In quella società – dice Tore Corriga della Rsu – si vive una situazione precaria. Il nostro non è il rifiuto di un lavoro, ma il rifiuto delle furberie che molti politici stanno mettendo in atto. Prima – continua Corriga –ci scrivono nero su bianco che ci collocheranno in Igea o Carbosulcis e poi gli accordi cambiano».

CAGLIARI, 27 DICEMBRE 2012 
Ed ora verrà demolito il muro? 



Epigolo? 
Vertenza Rockwool: confermato ricollocamento lavoratori in Ati-Infras


La società impiegherà tutti i lavoratori a tempo indeterminato nel progetto di bonifica e ripristino ambientale delle aree minerarie dismesse...


I posti, come detto erano e sono a TEMPO INDETERMINATO.. Confermata la possibilità di un inserimento dei lavoratori della ex Rockwool di Iglesias all'interno dell'Ati Ifras e anticipato l'incontro per discutere le modalità e forme contrattuali all'11 gennaio.


E' questo l'esito dell'incontro che si è svolto questo pomeriggio alla Regione tra l'assessore regionale dell'Industria Alessandra Zedda, l'ex assessore regionale della Difesa dell'Ambiente Giorgio Oppi, le organizzazioni sindacali e i delegati della Rsu ex Rockwool. "La società - spiega una nota della Regione - impiegherà tutti i lavoratori a tempo indeterminato nel progetto di bonifica e ripristino ambientale delle aree minerarie dismesse". "L'accordo stipulato l'anno scorso - commentano Zedda e Oppi - resta valido. Nella fase di selezione dei concorsi pubblici, espletati dalle società partecipate dalla Regione, sarà dato un adeguato riconoscimento a chi ha titoli ed esperienze specifiche maturate nel settore ex-Emsa".

Dopo una serie di patetici tira e molla, soddisfatti della visibilità mediatica ma ormai impossibilitati a proseguire oltre, in quanto messi di fronte alle loro contraddizioni da chi non esitano a chiamare pubblicamente ( sempre in Tv naturalmente) "feccia", finalmente all'alba del 31 dicembre abbandonano l'occupazione, mettendo fine ad una sceneggiata che ha contribuito non poco a riportare la lotta e la rivendicazione operaia su azioni estreme e disperate, esattamente come vuole il potere, per trasformare il diritto in beneficenza e la lotta in telenovela!

 

"Gli eroi ?...Gli Eroi siamo noi, personale con contratto precario, che per 10 anni hanno lavorato in silenzio, presso Rockwool Italia S.p.A., accettando i vari soprusi, sia dei "colleghi" di lavoro che della società e l'indifferenza della RSU e dei sindacati, e che nessuno in 3 anni ha voluto ascoltare. Scrivendo tutto questo ci metto la faccia personalmente, in questo momento dove l'ipocrisia regna sovrana e si fà a gara per portare una falsa solidarietà politico-mafiosa. L'opinione pubblica locale deve sapere tutto questo. Adesso tiriamo avanti, senza lamentarci con stampa e tv , con 480 euro che diventeranno 380 , senza prospettive di lavoro malgrado negli accordi istituzionali si parli di REINSERIMENTO LAVORATIVO NELLE INIZIATIVE DEL TERRITORIO COMPRESE LE BONIFICHE AMBIENTALI
PS: Buon natale a tutti!" (Mario Musa, ex lavoratore somministrato Rockwool)

Della solidarietà operaia: (Lavoratori ex Rockwool dalla lotta alle visite, dall'orgoglio all'egoismo sociale)

"Stamattina abbiamo fatto visita ai ragazzi dell'indotto alcoa, provo una stima profonda nei loro confronti..perchè si sono sollevati in prima persona per tutelare i loro diritti, senza far fare la lotta agli altri stando a casa, per poi rispuntare sotto la guida del pifferaio magico di turno e affermare diritti su eventuali risultati conquistati da altri. Che siano da esempio i ragazzi che ho conosciuto stamattina!!"...diritti su eventuali risultati conquistati da altri. ..diritti su eventuali risultati conquistati da altri. Quindi ogni lavoratore lotta per se e non per i diritti di tutti?

Inutile poi ricordargli che tre anni di presidio senza i loro cospicui ammortizzatori sociali (80% dello stipendio), per un lavoratore somministrato (senza le stesse tutele) sono impensabili ed improponibili, perlomeno se vuole arrivarci vivo... Ma anche volendo è sempre stato tenuto a debita distanza, quasi per paura che il numero degli aventi diritto, alla pubblica riassunzione, diventasse eccessivo. Inoltre bisogna provare di persona l'arte con cui, alcuni (solo di alcuni, ripetiamo) di quei lavoratori, allontanano o tengono lontani gli indesiderati: mascherandosi da eroi poveri, disperati, gentili, duri e puri con gli altri e distillando veleno e falsità, servendosi spesso di personaggi che gli stanno intorno, che con ammirevole costanza seminano bene ed ovunque... In questo modo chi è loro scomodo si guarda bene dal farsi vivo di persona. Ma ci vuol ben altro per annullare l'esistenza e la resistenza di chi ha ragione di essere, di esistere e di resistere! Solo se il sindacato ed i lavoratori conquistano un diritto per tutti i lavoratori, (il territorio e la popolazione), si può parlare di lotta ...altrimenti è solo elemosina o riscatto/ricatto personale!

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