Eleonora Di Marino # diario su Exibart /Aperto! Wilson Project Space
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Dalla Sardegna con determinazione/1 | 
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Ho sempre lottato per poter sperare di cambiare il mondo, in ogni 
caso continuo a lottare per poter cambiare almeno la speranza. Nel mio 
territorio d’origine, il Sulcis, si nasce e si muore lottando. La mia 
Isola è chiusa e ostile, permalosa e bellissima, anche quando ti uccide 
con i veleni portati da quelle industrie che volevano, appunto, portare 
speranza, ma che hanno finito per insegnare a lottare: il paradosso è 
che dalle mie parti ancora si lotta per continuare a morire.  
Dalla lotta, e dalla sopravvivenza, ho imparato che si arriva a 
conquistare qualcosa solo se l’azione è chiara, forte, sintetica e si 
muove verso un obbiettivo preciso. Non vado d’accordo con un certo modo 
di fare arte che prende a pretesto il mondo (e la speranza) 
semplicemente per giustificare la produzione di un’opera, rinunciando 
così a tutta una potenziale carica politica, morale e sociale che l’arte
 (e l’artista) contemporanea ha proprio nelle sue stesse radici storiche
 ed estetiche. Il risultato è che in questa finzione dell’azione 
politica e sociale anche l’opera rischia di divenire un semplice, anzi, 
un complicato pretesto, che alla fine non fa che aumentare, invece che 
diminuire, le distanze tra l’opera, l’artista e le sue buone intenzioni 
d’interazione sociale. L’uomo albero ad Istanbul, il Tank Man di Tienanmen, hanno compiuto un gesto chiaro, forte, sintetico, che si è mosso verso un obiettivo preciso.  
Verso un preciso obiettivo indeciso. 
Con il semplice gesto, chiaro, forte, sintetico, di rimuovere la 
porta del Wilson Project Space, ho di fatto aperto lo spazio a chiunque 
volesse utilizzarlo, in qualsiasi modo, in qualsiasi ora del giorno e 
della notte. 
Il mio diario, con Dario Lino (Costa)  
- Ventisette Novembre, ore 18,30.  Lo spazio è aperto, vuoto, 
bianco, lasciamo, giusto per l’inaugurazione, le porte adagiate su una 
parete, con le chiavi inserite nella serratura.  
- Ventotto Novembre. Nello spazio aperto, vuoto, bianco, l’unica 
presenza, in un angolo del pavimento, è quella dei volantini con 
l’indirizzo e-mail del blog (http://aperto-wps.blogspot.it/) che invitano a mandare le immagini del passaggio dei nuovi "inquilini”. 
Nello spazio da questo momento può succedere qualsiasi cosa, anche
 niente, in ogni caso nulla è stato concordato: uno poteva decidere di 
utilizzarlo un giorno ad una certa ora, per una certa cosa, e per 
assurdo tutti sarebbero potuti arrivare in quello stesso momento, magari
 per fare la stessa cosa. 
In ogni caso la porta non c’è più, chiunque potrebbe portarsi via,
 danneggiare o riscrivere quello che un altro decide di lasciare. 
- Ventinove Novembre. Non sappiamo chi e quante persone siano 
passate davanti o siano entrate senza fare nulla. Finalmente sul blog è 
documentato il primo intervento: una piccola riproduzione di un quadro 
di Morandi, un vaso di fiori. 
- Trenta Novembre. La stampa è ancora lì, i muri si sono riempiti 
di segni e disegni, ci sembrano tutti bellissimi; non credo sarei 
riuscita a realizzarli in maniera così spontanea, e soprattutto senza la
 mia presenza fisica! Sul davanzale della finestra c’è un cartone della 
pizza. 
- Un, due, tre, Dicembre. A vederla ora, a metà dell’opera(zione),
 sembra una bellissima mostra, così colorata, underground, poetica. In 
questi giorni qualcuno ha utilizzato lo spazio per restaurare un tavolo,
 alcuni docenti dell’Accademia hanno portato i loro studenti, ed 
anch’essi hanno lasciato le loro tracce espressive, soprattutto sulle 
pareti. Qualcuno ha lasciato uno zaino pieno di quaderni di scuola, 
altri oggetti-opera sono disseminati ovunque, dalle pareti al pavimento. 
- Quattro Dicembre. Il fatto che gli oggetti, le opere e gli 
interventi siano ancora tutti lì e che stiano rispettosamente insieme, 
ci da la sensazione che il mio gesto non abbia intaccato la sacralità di
 un project space dedicato alla ricerca ma che anzi ne abbia aumentato 
l’aura: possibile che a nessuno sia passato per la mente di portarsi via
 qualcosa? 
Io e Dario aspettiamo giorno per giorno, ora per ora,  i nuovi 
passaggi, le nuove immagini,  ansiosi di nuove emozioni, di altre 
immaginazioni, di sentire di avere intorno tante persone che sentono la 
necessità di esprimersi, di partecipare, di fare comunità.  
Non abbiate paura, io, Dario, non ne abbiamo avuta. 
To be continued..... | 
Dalla Sardegna con determinazione/2
Vi proponiamo oggi la seconda e ultima parte del diario di Eleonora Di Marino, giovane artista sarda che, come ricorderete, con la collaborazione di Wilson Project Space
 di Sassari qualche tempo fa ha portato in città una vera e propria 
esperienza di Public Art. I protagonisti? Ovviamente la città e la 
cittadinanza, alle prese con uno spazio lasciato completamente libero da
 vincoli. Ecco com'è andata a finire 
…Il mio diario, con Dario Lino (Costa) 
- Cinque dicembre.  Oggetto: arte-terapia-ruben. Da: Ruben 
Mureddu. "Ciao Eleonora e Dario! Vi invio un paio di foto delle due 
giornate che abbiamo trascorso in galleria per partecipare 
all’intervento di Eleonora. Al piu presto vi faccio avere qualche ora di
 video. Ho inserito anche la lettera di presentazione che ho inviato 
alla direzione delle comunità psichiatriche di Rizzeddu per avere il 
permesso di far partecipare i ragazzi a "APERTO!". Potete usarlo come 
meglio credete. Grazie a entrambi per aver offerto questo momento di 
interazione e condivisione. Appresto, ruben.” 
Lo spazio aperto diviene comunità, uscendo dalla necessità di 
essere un contenitore di espressioni estetiche, che invece diventano 
esperienze visive e sociali.
- Sei dicembre. Sulle  pareti  le parole iniziano a lottare. Una 
frase di Pasolini viene cancellata perché scambiata con un’oscenità 
gratuita: l’autore sottolinea, con un’altra scritta, la gaffe 
moralizzatrice. In uno spazio aperto il writing è una necessità 
fisiologica, mentre è l’ammoniaca  rilasciata dai colori acrilici a 
trasformare l’aria  di questo passaggio in un sottopassaggio.
- Sette dicembre. L’azione devasta e la necessità umana  di non 
 lasciare un solo spazio bianco a portata di umano si fa panico visivo. 
Difficile uscire dagli stereotipi della traccia di sé e dalla condizione
 di essere, stato, spazio espositivo. Gli interventi realizzati più alla
 regola dell’arte soccombono e rinascono negli altri, che incombono 
arrivando da tutte le parti, ma a nessuno è venuta l’idea di utilizzarlo
 come garage (eppure in certe ore della giornata è praticamente 
impossibile trovare parcheggio). I fogli di Alberto Garutti, sparsi sul 
pavimento, portano le impronte di chi ci è passato sopra per segnare la 
sua visita.
- Otto dicembre. "Ciao è stato bello - LEAVE ME HERE”. Un 
contenitore di segni e passaggi dove il disagio sociale è in una 
posizione di assoluta precarietà estetica e la paura di non lasciare 
traccia cede il passo alla testimonianza,  al ringraziamento per aver 
restituito uno spazio ad una condizione di libertà assoluta. Una scritta
 sulla soglia della porta rimossa da voce ad una riflessione anonima: 
"OGNUNO E’ RESPONSABILE DI TUTTO DAVANTI A TUTTI”.
- Ultimo giorno (nove dicembre). Spitfire Beatz + DJEF. I 
musicisti sembrano essere quelli più attenti al concetto di spazio 
libero e di spazio aperto (e coperto), trovandosi a loro agio tra i 
segni che disegnano un’aria metropolitana, underground, ormai sempre più
 distante da quella dell’ottimizzazione minimale dell’intervento 
artistico contemporaneo. Intervento artistico contemporaneo che si 
chiude puntualmente alle ore 21,00: le porte rimosse vengono rimesse e 
la serranda si chiude. Ora tocca al pittore imbiancare tutto, rimuovere 
la pittura…far rinascere uno spazio che d’ora in poi sarà sempre anche 
un luogo sociale, politico, almeno nella sua e nella mia storia. Che ora
 è anche vostra.
 1° parte 2° parte

